venerdì 5 gennaio 2007

CHE COSA SONO I MOCKUMENTARY?

I falsi-documentari sono testi di fiction che per precisa scelta dei loro autori vengonoo truiti in bilico sull’ambiguità tra realtà e finzione. Sono film che si appropriano dell’estetica del genere documentario modificandone i significati. Sebbene come genere nasca proprio a partire da un’ambiguità strutturale, lo scopo comunicativo del falso-documentario non è però necessariamente quello di far credere vero allo spettatore ciò che viene mostrato dalle immagini. Se l’utilizzo della falsificazione nei primi film documentari era, in accordo con le tesi di Eric Barnouw[1], un mezzo per procurare maggiori emozioni e autenticità nei confronti delle immagini filmate, l’idea fondamentale di questa tecnica era che, se il pubblico avesse potuto vedere la ri-creazione di un evento, avrebbe più facilmente creduto che esso fosse realmente accaduto; alla base del falso-documentario vi è un concetto simile: il pubblico venendo a contatto con un argomento presentato sotto forma di documentario, sarà più propenso a credervi. La differenza fondamentale risiede nella distinzione riscontrabile tra l’abbellimento di un fatto realmente accaduto e l’intelligente dissimulazione di una bugia.Il falso-documentario non pretende esclusivamente di far credere vero qualcosa di palesemente falso, aumentandone la credibilità, ma, soprattutto cerca di stimolare il pubblico ad interrogarsi a proposito del tema trattato e del linguaggio documentario stesso.

I mockumentary sono infatti prodotti per sembrare i più reali possibile, ma solo in parte per ingannare il pubblico, soprattutto per invitarlo al confronto riguardo l’origine semantica delle immagini che sta vedendo. Il vantaggio concettuale che il falso-documentario ha nei confronti del documentario classico è la sua capacità di sfidare gli assunti tradizionali senza realmente soccombere ad essi. Un mockumentary, rappresentando alcuni elementi che non appartengono al mondo reale, incoraggia il pubblico a chiedersi quali fra questi elementi sarebbero normalmente necessari per garantire l’autenticità dei film, stimolando infatti l’abilità degli spettatori nel separare la realtà e la finzione, presentandosi loro come un film che potrebbe essere sia vero che falso. I falso-documentari usano il linguaggio del documentario proprio per sovvertirne i loro metodi di realizzazione e di fruizione. Le convenzioni comuni vengono così manipolate non limitandosi alla semplice burla del pubblico, nel tentativo di fargli credere vero ciò che in realtà non è; in effetti i falsi-documentari invece vogliono sollevare diverse questioni a proposito delle strategie testuali che rendono la fiction credibile, di come il linguaggio documentario può essere utilizzato per rivoluzionare la forma del genere, di quanto sia importante che le immagini siano credibili e quindi reputabili autentiche e di cosa differenzia i falsi-documentari dai veri documentari.

Prendendo come modello il linguaggio del cinema documentario generale, il falso-documentario ne rielabora le convenzioni in “un finto genere di non-fiction”, creando un genere che dichiara di dire la verità quando, di fatto, esso mente utilizzando a sua volta nuove convenzioni, più intricate e ingannevoli. Adottando e modificando le convenzioni del documentario, il mockumentary ne sviluppa autonomamente una propria serie, alle quali costantemente si aggiungono dimensioni teoriche e tecniche; come accade per il documentario, anche le forme del falso non cessano mai di essere riformulate. Il falso-documentario è, allo stesso tempo, meno di un documentario, più di un documentario, ma in sostanza, non un documentario. Evidentemente il documentario potrebbe essere identificato come ogni film capace di suscitare la domanda “Potrebbe essere menzognero?”. Quando il discorso ruota sui falsi documentari, la questione deve essere infatti invertita “Potrebbe essere successo realmente?”. Il falso documentario non si limita ad acquisire le forme e le strategie comunicative del documentario, operando una simulazione del linguaggio che appartiene alla sfera della rappresentazione del reale. Le tecniche del documentario vengono infatti decostruite, analizzate nei loro funzionamenti e rielaborate per veicolare nuove forme di significato. Il processo sinteticamente descritto può essere definito come una sovversione del linguaggio, dove per sovversione viene inteso l’obiettivo di rovesciare l’ordine tradizionale, associandolo all’idea di capovolgimento dei valori fondamentali. In questo caso i valori su cui si poggia il sistema del documentario sono ulteriormente legati alla contrapposizione tra realtà e finzione, tra rappresentazione e mondo fenomenico. I falsi-documentari affrontano queste dicotomie con un fare rivoluzionario nei confronti delle forme tradizionali, in un rapporto conflittuale che però rivela un legame profondo, quasi una riverenza assoluta, nei confronti del documentario stesso. Il mockumentary ricerca con ogni metodo di scardinare le regole del documentario ma, allo stesso momento, compie un preciso lavoro che permette di rendere più forte la consapevolezza nei confronti del documentario sia da chi li produce e da chi li fruisce. La simulazione, nel caso del falso-documentario, è una forma di corruzione del reale, del documentario in particolare, poiché in ogni sua manifestazione rinvia ad un universo inesistente, ma che all’aspetto risulta verosimile, proprio grazie alle forme linguistiche canoniche che utilizza.
Il personaggio che per antonomasia può rappresentare lo spirito del falso-documentario è Leonard Zelig[2], l’uomo camaleonte portato sullo schermo nel 1983 da Woody Allen. Una misteriosa sindrome permette a Zelig di mutare il suo aspetto psicosomatico a seconda di chi gli si trova vicino; forse a causa del terrore di non essere accettato, egli sceglie di assumere il ruolo di conformista per eccellenza. Camaleontico è anche lo stile scelto da Woody Allen, in cui la mimesi del documentario storico è ricercata con impressionante ingegnosità e grande maestria tecnica. Il documentario su Leonard Zelig è credibile in tutte le sue forme linguistiche mentre il suo conformismo appare a tal punto iperbolico da risultare inverosimile ed esilarante nella sua assurdità. Lo scopo di Allen non è certo di far credere alla paradossale storia di un piccolo uomo, ebreo spiazzato dalla grandezza della metropoli degli anni Trenta, è semmai quella di sottolineare come, sebbene Zelig non sia mai esistito realmente, egli rappresenti una precisa condizione umana in cui il rischio che l’individuo venga assorbito dal conformismo della massa.Per citare alcuni altri casi esemplari si può verificare come, analogamente, la ricostruzione degli eventi storici seguiti alla vittoria degli Stati del Sud nella Guerra Civile Americana, elaborata da Kevin Willmott in CSA: The Confederate States of America (Usa, 2004) sia assolutamente plausibile, sebbene la storia insegni che la guerra abbia avuto esiti molto diversi. Il falso-documentario, presentato al Sundance Festival nel 2004 e inedito in Italia, pone l’accento su come si sarebbero sviluppati i “liberali” Stati Uniti se il Sud avesse dominato la nazione nascente. Ne risulta un ritratto caustico di un’America pervasa da forti simpatie schiaviste e razziste, una descrizione frutto di una satira pungente ed esasperata della società moderna. In che modo? Attraverso il mezzo del paradosso iperbolico, il pubblico è posto di fronte a situazioni che uno stato bigotto vorrebbe nascondere. Pur essendo evidente che la Storia si sia andata diversamente, il film rivolge molte questioni etiche agli spettatori, lasciando a loro il giudizio sulla società attuale. In modo ancor più sistematico Nothing so Strange di Brian Flemming (Usa, 2002) analizza molti aspetti della cultura americana attraverso la documentazione di una evento mai accaduto, l’assassinio di Bill Gates, guru delle nuove tecnologie. Caso atipico di distribuzione cinematografica esclusivamente per mezzo Internet, il film viene promosso attraverso una rete di siti[3] costruiti secondo una precisa strategia di comunicazione. Flemming in tal modo non vuole convincere il pubblico della morte del manager di Microsoft, ma mettere l’accento sui risvolti socio-economici che potrebbero nascere da un evento del genere, spingendo il pubblico a confrontarsi con una possibile nuova forma di lotta di classe. Oggetto di falsi documentari sono stati inoltre competizioni canine (Campioni di Razza, Christopher Guest), gruppi rock (This Is Spinal Tap, di Rob Reiner), elezioni politiche (Tanner ’88 di Robert Altman e Bob Roberts di Tim Robbins), pionieri della storia del cinema (Forgotten Silver di Peter Jackson), efferati assassini (Man bites dog - Il cameraman e l’assassino di Poelvoorde, Belvaux e Bonzel) ma in ogni caso il tema principale di ciascun film non è quello che viene presentato ad un primo livello di lettura, non limitando la loro lettura critica come un puro.

Dopotutto, come è vero che la realtà supera spesso la finzione, anche la finzione può essere più vera della realtà.

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[1] Barnouw, Erik, Documentary: A History of the Non-Fiction Film, 2a ed., New York, Oxford University Press, 1993, pag. 24[2] in Zelig, regia di Woody Allen, Usa 1983[3] www.citizenfortruht.org ; www.nothingsostrange.com

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