mercoledì 14 febbraio 2007

THIS IS SPINAL TAP di Rob Reiner

This is Spinal Tap, nel 1984, segna una tappa fondamentale nello sviluppo del falso documentario. Il regista Rob Reiner sceglie di calarsi nel ruolo di Marty DiBergi , un filmmaker indipendente, mentre realizza il suo sogno di girare un documentario su quella che lui reputa sia la miglior rock band inglese di sempre, gli Spinal Tap. Il film, un mock-rockumentario, racconta il disastroso tour del 1982 per la promozione dell’album “Smell the glove”, è girato con lo stile del documentario osservativo, precedentemente utilizzato dai registi dei primi documentari musicali come Don’t Look Back di Donn Alan Pennebaker e, soprattutto, The Last Waltz di Martin Scorsese. Il film di Scorsese viene analizzato nei minimi dettagli da Reiner in modo da creare una satira, divertente ma credibile nella forma, del documentario rock e viene esplicitamente citato da David che risponde alle domande di un giornalista, verso la fine di This Is Spinal Tap.

Il film è presentato nella tipica forma del film concerto, sulla stessa linea di Rattle and Hum (id. 1988) di Phil Joanou, sul gruppo irlandese U2. I momenti migliori del concerto sono interrotti da interviste ai musicisti, a supporter in delirio, ai dirigenti della loro etichetta discografica, da brevi sguardi dentro le vite dei membri della band, nei backstage e sulla strada. Ma mentre la maggior parte dei film concerto ritrae soggetti meritevoli all’apice della loro carriera o durante un tour trionfale, This Is Spinal Tap presenta al pubblico una band di secondo piano, con poco talento, composta da musicisti che tentano disperatamente di conservare la piccola notorietà che hanno raggiunto. Reiner/DiBergi riesce così a raccontare l’imbarazzante storia degli Spinal Tap in modo che tutto sembri assolutamente verosimile. La forma del documentario è meticolosamente analizzata e parodiata in ogni suo elemento, tanto da permettere di considerare This Is Spinal Tap come un punto di svolta per il mock-documentario; grazie a questo film, e al successo che ha ottenuto, la forma del falso documentario si è resa autoconsapevole e si è sistematizzata in un genere vero e proprio, in precedenza la forma era per la maggior parte dei casi dettata da una scelta estetica e funzionale allo sviluppo narrativo della storia, come nel caso di Zelig di Woody Allen del 1983; con This Is Spinal Tap il mock-documentario comincia a definirsi nella sua forma matura e autoconsapevole. Non a caso molti dei registi che hanno affrontato il genere dei falsi documentari hanno dichiarato di essersi ispirati proprio a This Is Spinal Tap, sia per via del grande successo ottenuto sia, come vedremo, per la sua capacità di creare un culto reale, un mondo sociale perfettamente credibile, a partire da una falsa band di poco talento.

Per la produzione del film non è stata prevista la stesura di una sceneggiatura; al fine di garantire assoluta spontaneità alla recitazione gli attori sono stati informati solo arrivati sulle varie location di come avrebbero dovuto comportarsi, come sarebbe iniziata la scena e come sarebbe finita, lasciando ampio spazio all’improvvisazione nello svolgersi dell’azione.

Il film ripropone fedelmente lo stile dei rockdocumentari più noti e crea un ritratto credibile di una falsa band, ma non pretende che il pubblico creda che gli Spinal Tap siano un vero gruppo rock. In effetti gli attori, oltre ad essere co-autori dei brani, si sono dimostrati discreti musicisti, permettendo di filmare le scene dei concerti dal vivo e con gli Spinal Tap presentati al pubblico come band di supporto del gruppo Iron Butterfly, nei rock-club della loro tournèe. Alcune fra le scene maggiormente ironiche rivelano il carattere parodico del film mostrando l’inettitudine del gruppo attraverso la semplice osservazione da parte della cinepresa, come nel caso del concerto al “Zanadu Star Theatre” a Cleveland, dove il gruppo, alla ricerca dell’ingresso del palco, si perde nei labirintici corridoi del back-stage.

Dietro la messa in scena sul palco e la presunta vita quotidiana appare ovvio che i tre musicisti siano in realtà degli attori, soprattutto a causa delle esagerazioni evidenti raccontate dai protagonisti del film durante le loro interviste. Anche la stessa composizione del gruppo risulta paradossale, Marty DiBergi viene a conoscenza da un’intervista a David St. Hubbins che ben trentasette persone si sono avvicendate nella band, di cui solo venti sono state documentate. I diciassette mancanti furono collaborazioni a breve termine, fra il 1965 e il 1966. In un’intervista del 1992 con l’Orlando Sentinel, nel seguito The Return of Spinal Tap, Nigel Tufnel ha menzionato che l’attuale batterista Ric Shrimpton è stato preceduto da altri 12 musicisti, il che significherebbe che ben sette dei diciassette membri mancanti erano batteristi, facendo aumentare il numero complessivo a 44 elementi.
In questo modo appare evidente il doppio livello di parodia attuato dal film, da una parte nei confronti dei classici come The Last Waltz e del loro stile documentaristico, dall’altra parte rispetto al mondo discografico e la mitologia popolare che circonda i gruppi rock.








Anno: 1984
Regia: Rob Reiner
Sceneggiatura: Christopher Guest, Michael McKean,Rob Reiner, Harry Shearer
Produzione: Linsday Doran, Karen Murphy – Spinal Tap Prod.
Fotografia: Peter Smokler
Montaggio: Kent Beyda, Kim Secrist
Musiche originali: Christopher Guest, Michale McKean, Rob Reiner, Harry Shearer
Cast: Rob Reiner, Christopher Guest ,Harry Shearer,Michael McKean
Durata: 82’



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